La dipendenza affettiva merita un capitolo dedicato, e cercherò di descriverla rispondendo alle domande che i lettori di “Guariti per amare” mi hanno posto.

D. Che cos’è la dipendenza affettiva o co-dipendenza?
R. Io la definisco una sorta di maleficio, di perfida magia, a seguito della quale l’individuo perde la propria natura luminosa, possente e amorevole, per trasformarsi in un’ombra debole e supplichevole, disposta a tutto, persino a venire a compromessi con i propri valori, fino alle peggiori abiezioni, per ricevere in cambio una briciola di considerazione da un altro individuo, a cui è stato delegato il proprio potere di vita e di morte, di dolore e di felicità. Investito di questo enorme potere, ovviamente, l’altro lo userà per sottomettere, umiliare e torturare il dipendente affettivo, talvolta fino all’annientamento fisico e psichico totale.
È indispensabile chiarire la differenza tra dipendenza e responsabilità all’interno delle relazioni sentimentali: la dipendenza è una forma di debolezza psichica, che contempla il passaggio del proprio potere da se stessi a un’altra persona, dalla quale si pensa di non potersi staccare senza conseguenze fatali, nonostante ci arrechi continui danni fisici e psicologici e sofferenze. La responsabilità invece è l’espressione di una forza interiore: consiste nell’impegno quotidiano a far funzionare e rendere il più felice possibile la relazione con un altro essere umano. Tale responsabilità prevede la cura e l’attenzione verso l’altro, come verso se stessi (“ama il prossimo tuo come te stesso”, ricordate?), cioè il mantenimento e il rispetto dei reciproci confini, la difesa pacata e amorevole dei propri punti di vista e dei propri bisogni, l’accoglienza aperta di quelli altrui.

D. Perchè si diventa dipendenti affettivi?
R. In realtà si è dipendenti dalla qualità energetica dell’emozione che quella persona suscita in noi. Se abbiamo scarsa autostima e non siamo disposti a modificare l’opinione che abbiamo di noi stessi, abbiamo bisogno di avere continuamente la prova che abbiamo ragione a non stimarci. E quale migliore prova è costituita da qualcuno che ci dice continuamente che non valiamo niente, che sbagliamo tutto quello che facciamo, che da soli non siamo in grado di sopravvivere; oppure che ci insulta continuamente, ci umilia pubblicamente, o addirittura ci picchia, dando la colpa delle sue reazioni a noi, alla nostra pochezza e/o alla nostra imperfezione?
Sembra assurdo, ma molti esseri umani hanno bisogno di sentire quel genere di energia, che li inchioda al loro sistema di credenze autosvalutanti, e quindi continua a restare in relazioni dalle quali dovrebbe fuggire.
Non è un sentimento a trattenere il dipendente in una relazione di abuso, ma la sua dipendenza dall’energia emozionale che prova dentro quella specifica relazione. Quanto più forte è l’emozione che crea la dipendenza, tanto più ci si concentra sulla persona che ce la fa provare. Questo è il motivo per il quale molto spesso i dipendenti affettivi rinunciano ad altre relazioni e interessi per concentrarsi e rinchiudersi unicamente nella relazione disfunzionale che stanno vivendo. A questa reazione biochimica inconscia si aggiunge il tentativo di isolamento da parte del partner narcisista, che gli riesce proprio perchè il dipendente affettivo è imprigionato nella sua dipendenza dalla forte emozione svalutante. Quando l’ho scoperto per caso, leggendo un libro di Joe Dispenza che descrive il fenomeno molto chiaramente, sia pur parlando di altri argomenti e specificamente di malattie, per poco non cadevo dalla sedia per lo stupore. Poi, guardando dentro ai miei comportamenti del passato, mi è sembrato talmente ovvio ed evidente che è bene divulgarlo a più persone possibile: siamo dipendenti non dal sentimento che crediamo di provare, bensì dalle emozioni negative che le nostre relazioni disfunzionali ci fanno provare. Queste emozioni si chiamano appunto “tossiche” perchè entrano in circolo nel nostro sistema psicofisico come fossero droghe.

D. Quando ti sei accorta di essere una dipendente affettiva?
R. Sono un’intellettuale e per quasi tutta la vita ho pensato che la mia cultura mi consentisse di saper sempre cosa fare. Ero convinta di essere un gradino più in alto degli altri, che toccava a me guidare e correggere. Purtroppo, se nella vita pubblica apparivo sicura e competente, nella vita privata mi trovavo in grossi guai. Quando me ne accorsi, compresi anche che i miei guai avevano una causa ben definita: ero una dipendente affettiva, una con la mentalità da vittima. Ero cioè convinta che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, qualcosa di imperfetto, e che per questo qualcosa non meritassi amore incondizionato. E io ero affamata di amore. Per diventare degna di ricevere almeno qualche briciola di considerazione e di affetto, ho inghiottito umiliazioni, tradimenti, ho sopportato l’insopportabile, ho rinunciato ai miei gusti, ai miei desideri, ai miei bisogni, e mi sono dedicata totalmente al benessere della persona da cui speravo di ricevere amore. La mia dedizione cresceva sempre di più man mano che il tempo passava, perchè lui diventava sempre più esigente nei mei confronti e sempre meno disposto ad amarmi. Nel momento in cui me ne sono accorta ho iniziato a venirne fuori.

D. Dipendenti affettivi si nasce o si diventa?
R. Io credo che tutti noi nasciamo integri e perfetti. Basta guardare la franchezza e l’audacia del bambini per rendersene conto. Le esperienze infantili vissute come traumi talvolta possono produrre un sistema di credenze che sviluppa la dipendenza affettiva. Le medesime esperienze in altri bambini possono indurre il sistema di credenze opposto e creare adulti violenti e narcisisti patologici.

D. Che cosa si può fare se si attirano sempre mostri violenti e narcisisti patologici?
R. Bisogna cambiare il proprio sistema di credenze. Bisogna rendersi conto che la vittima è tale prima che arrivi il carnefice di turno. La vittima è tale perchè il suo sistema di credenze la rende incapace di difendere la propria integrità e i propri confini, esponendola a sperimentare la violenza narcisista.

D. Quindi dalla dipendenza affettiva si può guarire?
Si può guarire come guarisce un qualunque tossico o un alcolista. Gli psicologi dicono che non esistono ex alcolisti: esistono alcolisti e non alcolisti. Allo stesso modo esistono dipendenti affettivi e non dipendenti. Bisogna solo ricordarsene, ricordarsi che si ha una propensione all’autodistruzione e alla prima avvisaglia di abuso scegliere di non seguire la propensione naturale verso l’emozione tossica, ma di imbastire solo relazioni sane basate sul rispetto e sulla cura reciproca.

D. Il problema è dare troppo amore agli altri?
R No, il problema non è dare troppo amore agli altri, perchè l’amore sano non ha mai fatto del male a nessuno. Il problema è darne troppo poco a se stessi e a un certo punto smarrire il rispetto di sè, la salvaguardia dei propri confini, anteponendo la cura di un altro alla cura di se stessi. Questo non va bene neppure se si tratta di crescere un neonato o un disabile, perchè anche in quei casi bisogna saper chiedere aiuto per trovare spazi di riposo e di tranquillità, senza annullarsi completamente. Il problema vero è non concedersi il permesso, non riconoscere di avere dei diritti inalienabili, dei gusti precisi, delle esigenze che nessuna relazione può misconoscere o deliberatamente ignorare.

D. Allora l’empatia è pericolosa?
R. L’empatia non è pericolosa, è benedetta, perchè ci consente di entrare in connessione profonda con gli altri e il loro sentire. È pericolosa la stupidità, che fa pensare ad alcune persone, le vittime, come sono stata io in passato, di anteporre il bene altrui al proprio, o di perseguire il benessere di un’altra persona a discapito e a danno, anche grave, dei propri bisogni.

D. Qual è il modello da seguire, se ce n’è uno?
R. Per me è il modello dell’amore incondizionato di Gesù, un amore disposto al supremo sacrificio, ma senza rinunciare alla propria dignità e alla propria missione, e senza risparmiare parole e atteggiamenti assertivi e risoluti nel combattere l’errore. Nel caso delle vittime, seguire l’esempio di Gesù significa rifiutare ogni forma di manipolazione e violenza, anche se arriva da una persona a cui teniamo molto (partner, genitore, figlio, amico del cuore, ecc.).

D. Qual è il sentimento più frequente negli abusati?
R. Il sentimento che provavo frequentemente quando mi comportavo da vittima era il dolore. Ogni volta che il mio partner mi tradiva, o mi maltrattava, io provavo sempre sorpresa e dolore. Ero convinta che il mio perseverare, la mia pazienza, la mia accondiscendenza prima o poi lo avrebbero cambiato e lui avrebbe imparato ad amarmi. Ma non è mai successo, non poteva succedere, perchè i narcisisti patologici non possono cambiare. Ogni qualvolta lo sperimentavo, io provavo un dolore sordo immenso e mi sentivo sempre vicina alla morte. Col passare degli anni mi sono resa sempre più conto che quel dolore prima o poi mi avrebbe annientato.

D. A che cosa serve il dolore emotivo?
Il dolore emotivo è il campanello d’allarme mediante il quale la tua mente ti dice che sei in pericolo. Funziona un po’ come il dolore fisico. Il dolore fisico ti costringe a occuparti di una parte del corpo che finora hai dato per scontata, a cui non hai prestato sufficiente attenzione. Il dolore emotivo ti spinge a fermarti e riflettere se dove ti trovi è proprio il luogo dove vorresti essere, se la persona che hai davanti sta intrattenendo con te una relazione sana oppure no. Normalmente sentiamo dolore emotivo quando qualcuno cerca di manipolarci, costringendoci a non fare quello che vogliamo e a fare quello che non vogliamo, il che genera frustrazione e rabbia, che si traducono in un disagio. Occuparsi del disagio, darvi ascolto e importanza, spesso può salvarci dall’abuso, anche se ancora è nascosto o camuffato da interesse. Il mio dolore emotivo mi è servito a comprendere che stare in quella relazione non mi faceva bene e dovevo concluderla al più presto. La comprensione è arrivata anche grazie al percorso terapeutico che ho deciso di intraprendere per tirarmi fuori dalla mia sofferenza.

D.: Ma chi ce lo fa fare ad andare in terapia e magari contattare tutto il dolore di una vita? A quale scopo?
R. Lo scopo è quello di compiere un atto creativo: creare ogni giorno la migliore versione di noi stessi, la più empatica e sensibile, ma anche la più forte e potente, quella che sa essere assertiva senza essere arrogante, che sa proteggersi e difendere i propri valori senza paura. In realtà, non è possibile sapere chi saremo se non alla fine del processo di autoconoscenza, che dura tutta la vita. Tutto quello che possiamo fare è tendere a un obiettivo, pensando che sia il migliore possibile, ma potremmo scoprire, dopo qualche tempo, che magari si può ancora migliorare. L’affascinante scoperta della fisica quantistica del cosiddetto “collasso della funzione d’onda” spiega che la cosa osservata si modifica sotto lo sguardo dell’osservatore. Cioè che l’oggetto dell’osservazione cambia forma quando un osservatore vi rivolge la propria attenzione. Allo stesso modo, anche l’osservatore è influenzato dalla cosa che osserva, perchè entrambi sono flussi energetici luminosi in evoluzione, da un andamento “a onda” a quello “collassato” in un concreto corpo fisico per reciproco influsso. Credo sia un po’ quello che succede a un artista. Nel momento in cui crea una cosa (una musica, un quadro, una poesia ecc.), ha in mente un’idea, un modello a cui ispirarsi, ma poi la cosa si evolve nelle sue mani prendendo soluzioni talvolta inaspettate e sorprendenti per lui stesso.
È successo a me con il mio ultimo libro: avevo delle idee di partenza, ma poi le riflessioni sulle testimonianze raccolte e sull’evoluzione della mia stessa esperienza di vita, hanno modificato il progetto di partenza, ottenendo risultati di comprensione che neanche io mi aspettavo.
Allo stesso modo, quando ci impegniamo per essere la migliore versione di noi stessi, non per dimostrarlo agli altri, ma come impegno morale e interiore, vedremo modificare la nostra vita in modo impensabile e noi stessi saremo in grado di tirar fuori risorse che non sapevamo neppure di avere.

D. Che cosa hai imparato dalle tue esperienze? C’è un lato positivo?
R. Per prima cosa ho capito di essere immersa da sempre in relazioni disfunzionali che non dovevo più tollerare per il benessere mio e delle persone che amavo e che volevo proteggere, in primo luogo i miei figli. Anche se ormai sono adulti, io credo che un genitore che faccia una scelta di verità e di dignità protegga comunque i suoi figli, perchè diventa un esempio e un punto di forza anche per loro.
L’effetto collaterale di aver subito relazioni abusanti di tipo narcisistico mi ha anche insegnato che l’amore è una cosa molto seria, comporta un grande impegno sia nei confronti di se stessi, del proprio valore, del rispetto per se stessi, sia nei confronti della persona che vogliamo amare. Decidere di amare qualcuno prescinde da difetti o ambiti caratteriali, è un impegno che dura tutta la vita e per tutte le stagioni. Allo stesso modo e con la stessa serietà e determinazione, dobbiamo respingere per sempre, anche se crediamo di amarla, una persona che ci toglie la gioia di vivere, per il semplice fatto che non ci ama. Se ci amasse, ci rispetterebbe, ci proteggerebbe, ci difenderebbe e si prenderebbe cura di noi, proprio come noi faremmo con lei.

D.: Quali sono stati i risultati evidenti della tua guarigione dalla dipendenza emotiva?
R. Il primo risultato evidente è che sono cambiate le persone intorno a me, ho cominciato a conoscere gente empatica, sinceramente interessata a conoscermi e a volermi bene. Questa è stata una novità stupefacente. Finora avevo accettato il ruolo di quella che dà tutto senza risparmiarsi e senza chiedere nulla in cambio. Adesso sempre più persone hanno voglia di fare qualcosa per rendermi felice, anche gesti semplici, come cucinare qualcosa per me, o invitarmi a fare una passeggiata, o stare ad ascoltarmi con attenzione e con interesse. Sembrano ovvietà, ma chi ha subito abusi sa bene che non lo sono. Sono molto grata a me stessa e alla vita perchè adesso ho tanti veri amici. Questo è uno dei “sintomi” dell’abbondanza che sta arrivando nella mia vita come risultato di guarigione. L’abbondanza di amici, di affetto, ma anche di risorse, di opportunità, di idee, di proposte lavorative, di condivisione, di relazioni sane e mature e, in definitiva, di felicità. Oggi non ho più relazioni disfunzionali a nessun livello perchè, se qualcuno mi fa soffrire, semplicemente lo lascio uscire dalla mia vita senza ripensamenti. Ho scelto di stare bene e di essere felice, di pretendere e meritare rispetto, anche a costo di restare sola. E, magicamente, dal primo momento in cui ho fatto questa scelta, non sono più stata sola.
Sto sperimentando nella mia vita il piacere di occuparmi di me, dei miei interessi e dei miei sogni, dei miei meriti, dei miei difetti, con pazienza, la stessa che ho sempre usato per le persone che amo. Mi rendo sempre più conto che nessuno di noi esseri umani ha il potere di controllare la nostra vita, ma che una forza amorevole provvede a noi, cullandoci verso il meglio. La pazienza che rivolgo ai miei lati d’ombra mi aiuta a entrare nel cosiddetto flusso vitale, che conosce il progetto e l’obiettivo per i quali sono venuta in questo mondo e mi guida amorevolmente per conseguirli.

D. Cosa intendi per “pazienza” nei confronti di se stessi?
R. Intendo il fatto che sia indispensabile prestare attenzione ai sentimenti che proviamo e prendersene cura: se mi sento arrabbiato, c’è un bambino dentro di me a cui è stata fatta un’ingiustizia; se mi sento impotente, c’è un bambino dentro di me che non è stato sufficientemente rassicurato della sua forza; se mi sento spaventato, c’è un bambino dentro di me che non è stato sufficientemente protetto; se mi sento in colpa, c’è un bambino dentro di me che non è stato sufficientemente amato incondizionatamente; se mi vergogno, c’è un bambino dentro di me che si sente imperfetto. Tutti questi bambini vivono dentro di noi, sono le nostre parti piccole e vanno viste, accolte e rassicurate, per superare le emozioni negative che ci devastano e, in definitiva, per poterle guarire. Occorre molta pazienza per fare questo, senza aver fretta di risolvere subito, di essere al passo con chi sembra non avere i nostri problemi. La vita non è una gara di eccellenza, secondo me. È un tuffo nella Verità.

D. Che persona sei oggi, dopo aver superato la codipendenza?
R. Questa è una domanda a cui posso rispondere solo in modo incompleto, perchè lo sto scoprendo ogni giorno che passa. Posso dire che da poco ho scoperto di essere una persona semplice, sobria, che ama passare inosservata: l’opposto della donna appariscente e perennemente insoddisfatta che interpretavo quando ero nel loop della dipendenza. Ho scoperto anche che ho tanti desideri da soddisfare, a cui non avevo mai dato valore, come la gioia di sedermi nella mia poltrona preferita o di avere al polso l’orologio che mi è sempre piaciuto. Le cose materiali adesso hanno un’importanza per me pari a quelle intellettuali, che ho curato fino ad oggi e, come la cultura e la bellezza, anche l’amore per le cose materiali può procurarmi la felicità dello spirito. Ho scoperto che la forma è la sostanza, che lo spirito e la materia sono sinonimi e che tutto il nostro percorso terreno è essenzialmente un percorso spirituale, cioè di ricongiungimento alla nostra vera essenza, che è «spirito divino», come direbbe Zucchero.
Ho scoperto che mi piace stare con le persone autentiche per scambiarci attimi di sincera condivisione. Ho scoperto che sono in grado di scegliere la vita che voglio vivere, il posto dove voglio abitare e le cose di cui voglio circondarmi. Non ho più incertezze a preferire me stessa e a non lasciarmi condizionare dall’esterno. Questo vuol dire anche che sono pronta a cambiare idea, se la realtà mi offre motivi che la mia anima ritiene validi, senza preoccuparmi di sembrare incoerente. Ho scoperto che quello che succede muta continuamente e che nulla è eterno, e sono pronta a mutare anch’io. Ho scoperto che il passato è un grande maestro e sono grata alle persone che mi hanno fatto del male perchè grazie a loro ho potuto guarire le mie ferite. Provo compassione e gratitudine per loro. Oggi non possono più farmi del male.

“Non quia difficilia sunt non audemus,
sed quia non audemus difficilia sunt.
(Non è perchè le cose sono difficili che non osiamo.
È perchè non osiamo che sono difficili).
Lucio Anneo Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, 104,26”