Tony de Mello, Messaggio per un’aquila che si crede un pollo. La lezione spirituale della consapevolezza, (traduzione di Laura Cangemi) Piemme, Casale Monferrato 2013.

Questo libro, che cito in una ristampa recente con un’ottima traduzione (anche se ne esistono ancora due del 2014, sempre di Piemme, e del 2019, edita da Pickwick) mi fu regalato quando ancora ero lontanissima dalla scoperta che la realtà non fosse esattamente come me l’ero sempre immaginata, ma c’era dell’altro, molto altro, con cui avrei fatto i conti molto presto, mio malgrado.
A quell’epoca del mio sviluppo (o sottosviluppo, come direbbe Tony), credevo di avere tutte le certezze, volevo capricciosamente che i miei progetti materiali andassero in porto per il semplice fatto di averli progettati, senza adeguata riflessione sulle eventuali conseguenze. Il mio umore dipendeva completamente dagli eventi esterni, che avevano il potere di farmi stare bene o di farmi precipitare nella disperazione più nera. So bene che questo è il modo di vivere e di pensare della maggior parte della gente, ma Tony mi insegnò che è totalmente folle, benchè universalmente condiviso. Il mio zigzagare senza un obiettivo spirituale si bloccò bruscamente quando il mio partner mi tradì e poi mi lasciò per un’altra donna. A onor del vero, aveva lanciato parecchi segnali sul fatto che la nostra relazione non lo soddisfacesse, ma io non li avevo minimamente colti, convinta com’ero che a me non sarebbe mai potuto succedere di essere piantata, come accadeva alle altre. Così l’evento mi colse totalmente impreparata. Da un giorno all’altro mi sentii mancare letteralmente il terreno sotto i piedi, non mi reggevo sulle gambe, cadevo a terra in continuazione mentre camminavo. I miei figli non mi avevano mai visto piangere e in quel momento non facevo altro, non sapevo che cos’altro fare. Avevo continue crisi di angoscia e facevo pensieri suicidari. Una notte insonne come tante mi ricordai che l’anno prima avevo visitato una comunità per tossicodipendenti di Mondo X, fondata da frate Eligio. Ci ero andata con il coro polifonico nel quale cantavo e di cui ero presidente, con l’intento di donare un nostro concerto agli ospiti della comunità in occasione delle festività natalizie. Ricordavo l’atmosfera deliziosa del convento, l’accoglienza gentile del capo della comunità, Sergio, e il fatto che ci fossero delle stanze destinate a foresteria per le persone che volessero ritirarsi per qualche tempo a meditare. Decisi che sarei andata in quel convento per ritrovare il mio equilibrio. Mi misi in viaggio piangendo, riuscendo a stento a percorrere in auto i 300 km necessari per raggiungerlo. Giunsi stremata. Sergio mi accolse sorridendo senza chiedermi nulla. Ero molto diversa in quel momento dalla donna sicura e forte che aveva conosciuto, diversa in un modo che lui conosceva bene, avendo incontrato e salvato tante giovani vite. Cenai rapidamente e mi gettai sul letto. La camera era piccola come mi aspettavo dalla cella di un convento, ma confortevole. Caddi finalmente in un sonno ristoratore. L’indomani mattina Sergio mi bussò alla porta e, senza dire una parola, mi porse il libro di Tony De Mello. Ne rimasi indignata. Come? Io ero depressa, bisognosa di parlare, di essere confortata, e lui non solo non mi parlava, ma mi dava uno stupido libro? I libri sono sempre stati speciali per me, ho sempre studiato con avidità e passione, ma in quel momento non mi sembrava possibile ricevere alcun tipo di aiuto dalle pagine stampate. Non avevo bisogno di teorie e trattati filosofici, io stavo veramente male! Aprii con riluttanza la prima pagina e, invece dei concetti teorici che mi aspettavo, lessi una storiella: c’era una volta un uovo di aquila che era caduto dal nido finendo dentro un pollaio. L’aquilotto era nato in mezzo alle galline e per tutta la vita aveva vissuto credendo di essere uno di loro. Una mattina, guardando in cielo, vide un uccello bellissimo dalle ali immense, che volteggiava sopra il pollaio. «Chi è?», chiese ammirato. «Quella è un’aquila, la regina degli uccelli», rispose un pollo. «Com’è bella!», disse l’aquilotto, «mi piacerebbe tanto volare come lei». «Non puoi», rispose il pollo, «noi siamo polli, condannati a vivere qui, mangiando i vermi che escono dal terreno». Così l’aquilotto visse e morì credendo di essere una gallina, nella convinzione che non avrebbe mai potuto spiegare le ali e volare!
Rimasi delusa. Mi aspettavo che la storiella finisse bene e invece finiva malissimo. Immaginai un finale diverso, per esempio che l’aquilotto casualmente si specchiava e si rendeva conto di essere diverso dalle galline e simile all’aquila e così iniziava a volare anche lui. Mi sembrava un vero peccato che non avesse mai conosciuto la sua vera natura. Ma per quanto sconfortante nel finale, qualcosa di quella storiella mi suonò familiare.
Un’altra frase che mi colpì alla prima lettura fu: «La vita è quella cosa che accade mentre siamo impegnati a fare altri progetti». Che significa? – mi chiesi – Che non posso fare progetti? La vita non sono forse i progetti? Che altro c’è?
E un’altra diceva pressappoco: «Avere successo non significa diventare rettori di università o sovrani di uno stato: sovrani di che? Rettori di che? Di un ricovero per folli? Avere successo significa svegliarsi, vedere la realtà per quella che è». Questa poi…ma cosa voleva dire? Essere rettore di un’università non significa essere arrivato molto in alto? E se sei il presidente della repubblica o il re di un regno, non è forse il ruolo maggiore a cui puoi aspirare nella vita? Che altro c’è?
Ma Tony continuò a martellarmi con le sue frasi incomprensibili: «Diciamo sempre: io mi sento bene perchè tutto va bene. Sbagliato!!! Tutto va bene perchè io mi sento bene!». Questa poi era l’opposto del mio modo di vivere e pensare.
Infine: «La differenza tra Gesù e gli altri uomini non è che lui non fosse un peccatore, ma il fatto che lui “sapesse” di esserlo». Questa proprio non la capivo, anche perchè a dirla era un religioso, e per di più un monaco gesuita. Sto cominciando a comprendere solo adesso l’importanza di questa frase. In questi giorni finalmente mi sono resa conto che Tony non vuole smentire il fatto che Gesù fosse il figlio di Dio. Vuole spiegare il perchè della sua connessione speciale con Dio, il perchè dei suoi miracoli e il perchè abbia detto: «Se voi ascolterete la mia parola, compirete miracoli ancora più grandi di quelli che ho fatto io».
Ecco Tony è stato l’inizio, ci ho messo dieci anni per capire fino in fondo il significato delle sue parole, ma dopo averlo letto, niente è più stato lo stesso.
Sono tornata a casa cantando.