La scoperta di essere dipendente dalle emozioni è stata sensazionale per me, ha cambiato definitivamente la mia vita: nel mio caso sono dipendente dalla paura e dalla rabbia, probabilmente perché erano le emozioni predominanti della mia infanzia o quelle che subivo più frequentemente quando vivevo in famiglia.

Quando ero giovane, in casa mia c’era sempre una tragedia imminente, una filosofia alla “Murphy”: tutto poteva volgere al peggio; tutto aveva un risvolto negativo che sarebbe stato fatale per tutti. Anche se si trattava di una vincita al lotto, o di un premio, o di una vittoria, i vantaggi venivano subito sminuiti, i meriti misconosciuti, neppure sussurrati, ma ogni cosa veniva semplicemente subordinata al peggio che poteva derivarne. Faccio un esempio: ho comprato la mia prima casa quando avevo 24 anni con i miei primi stipendi. Era una mansarda di 65 mq, fresca e accogliente, che avevo scelto da sola all’interno di un residence tranquillo e pieno di verde. Oggi capisco che ho compiuto un’impresa straordinaria con i miei soli mezzi e sacrifici, data la mia giovane età. Quando ne ho dato comunicazione ai miei genitori e li ho portati a vederla, loro hanno commentato che la scelta del luogo, la posizione dell’immobile, il fatto che avesse parte del tetto spiovente, e persino la luce fossero del tutto errate, che avevo sbagliato a fare questo investimento e che l’aspetto complessivo era di una “tomba” più che di una casa dove vivere. Ho tenuto quella casa per vent’anni e l’ho rivenduta al quintuplo del prezzo che avevo pagato. Con i soldi della vendita ho comprato un pentavani di 160 mq. Ho venduto anche il pentavani per acquistare una villa fronte mare, ma anche in quel caso mia madre ha detto che era un peccato aver venduto un appartamento così bello, per andare a vivere lontana dal centro in un posto infestato sicuramente da zanzare e topi.
È sempre stato così, in ogni aspetto della nostra vita: ogni novità sarebbe stata foriera di disgrazie e ripensamenti. Per questo i miei sono sempre stati restii ai cambiamenti, anche quando cambiare era l’unica soluzione possibile ai problemi che avevano.
Io ho sviluppato invece, forse per contrapposizione, una mentalità da avventuriera, ho sempre amato le novità e le sperimentazioni e, come ho detto, ho cambiato casa e città molte volte (12) prima di trovare l’abitazione dalla quale non volessi più scappare. Ho cambiato frequentemente le mie abitudini, le mie relazioni, il mio lavoro e questo atteggiamento ribelle credevo mi tenesse al riparo dai clichè familiari. Purtroppo era una fragile scappatoia che nel tempo si è rivelata fallimentare perché, se l’esterno cambiava, internamente io provavo inconsciamente la stessa atmosfera di tragedia, aggravata dai sensi di colpa per aver effettuato cambiamenti audaci e poco sicuri. Quindi non di rado mi capitava dopo un trasloco di svegliarmi nel cuore della notte, o di mattina presto, con il pensiero angosciante che potesse succedere qualcosa di terribile ai miei cari, o che avessi contratto una terribile malattia. A un certo punto, però, ho notato la ciclicità di queste angosce notturne, o mattiniere, e finalmente ho scoperto che si trattava della dipendenza dalla paura, sostanzialmente la paura di scoprire cose nuove, di affidarmi all’ignoto, la paura di vivere, ereditata dal mio clan familiare. Oggi, se mi raggiunge talvolta il pensiero angosciante di una imminente disgrazia posso lasciarlo andare sorridendo e dicendo a me stessa: è la dipendenza dalla tragedia, la dipendenza dai pensieri del passato. Oggi non mi servono più, oggi voglio creare pensieri positivi sul futuro.
Un altro sentimento ereditato nell’ambito familiare è la rabbia nei confronti di un nemico. In casa mia ogni episodio che poteva sembrare irrilevante, che doveva semplicemente essere dimenticato o superato, veniva sfibrato in particelle, esaminato al microscopio, riesumato punto per punto, per scoprire l’eventuale colpevole. E c’era sempre un colpevole all’interno della famiglia (quasi sempre io), che ne minava gli equilibri dolosamente e irresponsabilmente. Il colpevole veniva accusato del supposto crimine e, senza possibilità di essere ascoltato o di discolparsi, condannato ad una stigmatizzazione priva di attenuanti. Per esempio, i miei erano convinti che io non sapessi tenere un segreto, o che non avessi sufficiente senso pratico. Ogni volta che si discuteva, queste due tesi venivano espresse come dogmi e io non potevo difendermi, anche se erano entrambe false. La vita mi ha messo davanti numerose situazioni in cui sono riuscita a dimostrare a me stessa che io so tenere benissimo i segreti e che ho un discreto senso pratico. Nonostante tutte le prove evidenti, la mia famiglia non ha ancora cambiato idea, ma oggi non ne sono più ferita, perché IO SO che stanno sbagliando loro, non io.
Altre volte i miei individuavano il “nemico” fuori casa, e allora bisognava stanarlo e prevedere tutte le sue mosse e le cattive intenzioni. Quando ero bambina, ricordo discussioni innocue tra amici che diventavano grosse diatribe tra famiglie, perché i miei avevano ingigantito le parole che ci eravamo scambiati e costruito una “dietrologia” malvagia e peccaminosa. Allo stesso modo, ho ereditato il bisogno di cercare un nemico in ogni situazione e creare un senso di malumore nella maggior parte delle relazioni, che minava la serenità della “normalità”. Questo atteggiamento si è dissolto come neve al sole nel preciso momento in cui mi sono resa conto che ero dipendente dalla rabbia, e quindi mi serviva sempre un nemico su cui scaricarla. Se capisci di essere dipendente dalla rabbia, allora puoi superarla. Quando la senti arrivare, non ti lasci più incantare da quel sentimento, non le dai credito, ma la osservi con compassione e la posi in un angolo perché non ne hai più bisogno. Ti ripeti che ora sei grande abbastanza per costruire relazioni pacifiche e sane, rispettose dei confini reciproci. Quando si lascia andare la dipendenza dalla rabbia, ci si rende conto che non ci appartiene, che è solo un retaggio del passato e non ha niente a che fare con la migliore versione di noi stessi che vogliamo diventare, giorno dopo giorno.