La vita si diverte a metterci alla prova.
Non appena abbiamo acquisito una nuova informazione determinante per la nostra evoluzione; non appena abbiamo superato una prova e siamo saliti a un gradino ‘superiore’ nella conoscenza di noi stessi e dei nostri meccanismi, la vita ci chiede di verificare se le nuove acquisizioni si siano sedimentate o se appartengano ancora a uno stato mentale superficiale che ha bisogno di altro tempo per diventare parte di noi.
E così a quanti, come me, si tengono lontani dalle relazioni sentimentali per timore di incappare in un nuovo abuso e di non avere le armi sufficienti per stanarlo in partenza, ecco che la vita presenta il conto sotto un’altra forma: a me è toccato sperimentare l’abuso di un amico. E non un amico qualsiasi: un amico con cui avevo costruito un’associazione che funzionava molto bene, a cui lavoravamo insieme da anni con profitto e gioia. Il nostro era un sodalizio nel quale avevo investito molte speranze e risorse, e lui era un amico che consideravo tra i più cari e fidati: per questo gli ho concesso di oltrepassare la soglia consentita ai conoscenti ed entrare nel ristretto gruppo dei più intimi.
La prima volta che mi ha ferito ho pensato che avesse dei problemi e ne abbiamo parlato: lui si è scusato e mi ha promesso che non si sarebbe più ripetuto.
La seconda volta ho pensato di essere stata io ad aver sbagliato e che me l’ero meritato.
La terza non ho dormito per tutta la notte.
La quarta ho cominciato a soffrire, ad avere difficoltà a recarmi all’associazione, a cercare scuse per non assumermi i ruoli di sempre, per rimandare il contatto con la realtà.
La quinta ho finalmente visto la verità. E la verità era che uno dei miei migliori amici e colleghi aveva instaurato con me una relazione narcisistica, una relazione tossica e me ne dava la colpa, da buon narcisista patologico. Mi è bastato dare ascolto al disagio che sentivo per capire che quella situazione non andava bene per me. Subito dopo mi sono ricordata di una frase del mio libro, uno dei tanti slogan che ho coniato per l’occasione: “Chi ti ama non ti fa del male. MAI”. E per nessun motivo.
Ho lasciato l’associazione che ho fondato, mentre i componenti che non capivano mi chiedevano se fossi impazzita, mentre lui mi scriveva : “Perchè mi fai questo? Torna”.
Non ho mollato e sono andata via.
Sapete qual è la cosa più buffa? Che mi sono sentita felice.
Mi sono sentita felice? Ho perso amici, legami decennali, progetti futuri, contatti importanti e mi sono sentita felice?
Sì, mi sono detta ieri sera, mentre entravo in contatto con una sensazione non di perdita, ma di completezza.
Sì, mi sento felice, perchè non ho tradito me stessa e i miei valori, perchè ho dato importanza a quello che sentivo, perchè mi sono protetta.
Come dice Jung in Seminari allo Zarathustra: “Non può esserci cura e risoluzione delle esperienze psicopatologiche senza trasformazione e questa può avvenire solo obbedendo alla propria legge interiore, unica nostra morale”.
Non sono invincibile, ma ho riconosciuto i miei meccanismi e la conoscenza mi ha permesso di liberarmi ancora una volta dall’abuso.
E la libertà produce felicità, senso di integrità, pienezza.