Il film “Nata per te” di Fabio Mollo, ispirato all’omonimo libro edito da Einaudi, racconta la vicenda di Luca Trapanese, il primo single italiano che ha adottato, dopo molte vicissitudini e perplessità dei magistrati, una bimba down.
Il film, bellissimo e toccante, mi ha particolarmente commosso, specie quando ha mostrato le foto di Luca e della piccola Alba, in cui padre e figlia esprimono felicità e complicità incontenibili.
La frase chiave del film è pronunciata da un’infermiera: “E’ nata per te”, dice a Luca e lui risponde: “No, io sono nato per lei”.
Questa risposta mi ha fatto riflettere sul ruolo del genitore e sul significato che ha per me.
Dal mio punto di vista, ha ragione l’infermiera: i figli nascono per i genitori.
I miei figli sono stati i maestri più esigenti e più importanti della mia vita.
Uno ha trascorso gran parte dell’infanzia rifiutando di partecipare alle feste dei compagnetti e ogni volta che gli chiedevo: “Ma perchè non vuoi andare a divertirti con gli altri, come fanno tutti?”, lui invariabilmente rispondeva: “Perchè mi diverto di più da solo. Quando troverò qualcuno che mi faccia stare meglio di come sto da solo, ci andrò”.
Per me allora era inconcepibile che si potesse stare meglio da soli: avevo bisogno che gli altri mi dicessero chi ero e quale fosse il mio valore .
L’ho capito solo dopo molti anni, quando mio figlio ha incontrato amici congeniali al suo carattere e finalmente ha accettato di condividere con loro il suo tempo. Oggi ha tanti amici e ognuno di loro è davvero speciale: poichè ha saputo aspettare e scegliere, la vita lo ha ricompensato.
Che lezione per me! Oggi anch’io preferisco la compagnia di persone che risuonano con i miei valori e gioisco della solitudine come una risorsa preziosa.
L’altro figlio mi consegnato il dono dell’umiltà. Mi ha fatto scendere dal piedistallo di madre perfetta dove mi ero autocollocata, per farmi sperimentare che una relazione autentica tra genitore e figlio si costruisce con fatica e impegno, talvolta con dolore, soprattutto con coerenza e onestà, non dando mai nulla per scontato e accettando i propri limiti.
Ritornando alla storia di Luca, mi ha colpito il fatto che lui non si ponga il problema che la bambina sia disabile, anzi la sceglie proprio per questo, a differenza delle altre famiglie “normali”, che la rifiutano a causa del suo handicap.
E’ un mondo sottosopra, quello di Luca: sua figlia verosimilmente non sarà mai una figa da paura, una donna di successo, non avrà la notorietà sui social a cui aspirano altre ragazze, eppure lui non ci bada.
Anzi: l’unicità di Alba lo rende orgoglioso e felice.
E noialtri? Amiamo i nostri figli per quelli che sono? Accettiamo i loro limiti o ci sentiamo delusi se non centrano gli obiettivi che ci siamo prefissi per loro? Sappiamo accoglierli senza riserve per il tempo che ci sarà concesso? Siamo in grado di farli sentire amati, giusti e perfetti così come sono? Oppure trascorriamo il tempo a recriminare su quello che non sono in grado di fare, in nome di un presunto “bene superiore”, che è egoismo mascherato da amore genitoriale?
Ogni volta che nasce un bambino, anche noi genitori siamo chiamati a rinascere con loro.
Per non dimenticare che la Vita è stupore, semplicità e bellezza.
I figli sono qui a ricordarcelo.