A prima vista, può sembrare il solito polpettone farcito di guerra ed eroismo, che celebra il soldato di turno (in questo caso un marinaio), asceso all’immortalità per qualche gesto impavido in difesa dei compagni di plotone, a rischio della sua stessa vita.
Ma “Comandante” di Edoardo De Angelis, peer quanto ridondante talvolta possa apparire la sua sceneggiatura, racconta una storia alla rovescia, di quelle così incomprensibili e surreali, da essere inequivocabilmente vere.
Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina, è un vero duro, nato per comandare e guidare con lucidità il suo equipaggio, da autentico leader.
Fin dalle prime scene, è evidente che Salvatore è un uomo coraggioso, che non accetta di restare lontano dalla guerra, benchè le sue condizioni di salute glielo consentano e i progetti della moglie (una vita tranquilla in campagna con la sua famiglia) lo allettino.
Salpa, invece, con un esiguo numero di marinai per ordire un agguato ai nemici, così come gli è stato ordinato dai superiori fascisti e nazisti.
E infatti, non appena una nave belga, neutrale sulla carta, inizia a bombardare il suo sottomarino, non esita ad affondarla implacabilmente. Tuttavia, prima di riprendere il largo, fa donare alcune coperte e beni di conforto ai profughi, riuniti in una scialuppa di salvataggio.
In mare non si vede nessun’altra imbarcazione e la terraferma è lontana: i sopravvissuti si preparano al peggio, quando vedono il sottomarino ritornare. Il comandante Todaro prima ordina di trainarli e poi addirittura li fa salire a bordo, condividendo l’angusto spazio con i propri nemici.
Anzi, poichè alcuni di loro sono stipati nella torretta, rifiuta di far immergere il sottomarino per proteggersi dal fuoco inglese, perchè ciò significherebbe la morte di quegli uomini.
Contro il parere dei suoi ufficiali, che lo considerano avventato, se non addirittura folle, invia un messaggio ai nemici, chiedendo che lo lascino passare, perchè sta trasportando profughi belgi verso Santa Maria delle Azzorre.
E, in modo del tutto sorprendente, i nemici inglesi gli credono e cessano di sparare.
Il sottomarino passa indenne accanto a loro e lascia incolume sulla riva i profughi che, come recitano le didascalie finali, sopravvivono tutti alla guerra.
Lui, invece, Salvatore, non ce la fa e a soli 34 anni muore in mare, crivellato di colpi inglesi nel sonno, così come aveva sempre detto.

Ho visto il film soltanto perchè il protagonista è di origini messinesi e io vivo a Messina. Ero semplicemente curiosa di conoscere la storia e trascorrere un pomeriggio tranquillo.
Al cinema ci sono andata da sola. Così ho potuto piangere in pace.
Mi ha commosso la scena del passaggio del sottomarino rasente alla nave inglese. Ho pensato che quel giovanissimo ragazzo, dell’età di mio figlio, avesse deciso di mantenersi umano e compassionevole, in mezzo agli orrori di una guerra che, come tutte le guerre, lasciava ovunque devastazione e morte. Lui, invece, con il suo gesto generoso, ha riacceso la fiaccola della Speranza anche sul campo di battaglia.
Al comandante belga, che ammette di stare trasportando aerei inglesi e che lui, al suo posto, lo avrebbe abbandonato al suo destino, Salvatore si limita a rispondere: “L’ho fatto perchè siamo italiani”.
La risposta mi inorgoglisce, ma l’orgoglio dura poco.
No, giovane comandante dell’età di mio figlio. L’hai fatto perchè la guerra non è riuscita a indurire il tuo cuore e questo è il grande miracolo per il quale verrai ricordato.
Non ci sono alibi che giustifichino la crudeltà, nemmeno tra coloro che, ai nostri giorni, si macchiano di crimini imperdonabili in nome della difesa del proprio territorio, qualunque esso sia.
Questo piccolo film ci ricorda che l’umanità è il bene più prezioso che ci resta, anzi, l’unico che abbiamo mai avuto.