Il mio incontro con Issa avvenne nell’ottobre 2018.
I mesi precedenti erano stati particolarmente difficili per me: ad agosto mio marito era uscito definitivamente dalla mia vita e a settembre mia sorella aveva subito un intervento chirurgico urgente per peritonite e blocco intestinale, da cui si salvò per miracolo. Mi sentivo veramente a pezzi. Su consiglio dei miei figli, decisi di prendermi una vacanza di una decina di giorni e scelsi New York. Non ci ero mai stata e avevo in mente di assaporare con calma una città così poliedrica e affascinante, seguendo i miei ritmi. Pagai anticipatamente il volo e le escursioni sul sito di Emirates. Prenotai invece l’hotel e il transfer da e per l’aeroporto presso l’agenzia di viaggi di un’amica. Poi finalmente partii per quella che pregustavo come un’esperienza rigenerante.
Dopo un volo perfetto, giunsi a New York piena di entusiasmo. Non c’era nessun taxi ad aspettarmi in aeroporto, benchè lo avessi prenotato e pagato presso l’agenzia, ma non me ne curai: sviste di oltreoceano, pensai. Mi sarei fatta rimborsare una volta tornata a casa. Arrivai in hotel a mie spese verso le 22: era il Best Western Hotel del Queens. L’hotel mi fu proposto dall’agente di viaggio perchè aveva una magnifica vista sullo skyline di Manhattan e perchè era in un posto tranquillo a due fermate di metro da Times Square. Scesi dal taxi e mi recai alla reception, impaziente di andare in camera a riposare, perchè il mattino dopo mi attendeva la scoperta della City. La receptionist mi comunicò che prima di salire dovevo saldare il soggiorno. Replicai che lo avevo già pagato all’agenzia, ma il mio conto risultava ancora scoperto. Era il 24 ottobre. Quel mese io avevo consumato quasi tutto il plafond della carta di credito, dovendo accudire mia sorella e avendo deciso di ospitarla in casa mia per la convalescenza. Cercai di spiegarlo alla receptionist e le chiesi di lasciarmi dormire in camera quella notte, perchè l’indomani avrei risolto tutto chiamando l’agente di viaggio. In quel momento in Italia erano le 4 del mattino e non me la sentivo di disturbarla, dato che aveva un bambino piccolo. Ma la receptionist fu irremovibile: o pagavo o dovevo andare via. Con i soldi rimasti sulla carta di credito pagai 4 notti ed esausta andai a letto. Ma non riuscii a dormire per l’’inconveniente e per il fuso orario. Alle 5 del mattino scesi a prendere una tazza di tisana nella hall, e vidi un omone di colore, altissimo e robusto, seduto dietro il banco della reception. Pensai che fosse il portiere di notte e non lo degnai di uno sguardo. L’indomani mattina avevo fissato la prima escursione e mi misi in cammino per raggiungere il luogo dell’appuntamento. Lungo il tragitto telefonai all’agente di viaggio, la quale mi rassicurò che doveva esserci stato un errore e che mi avrebbe inviato il rimborso della prenotazione dell’hotel sulla carta di credito, in modo che potessi saldare il conto direttamente in hotel. A sera tornai in hotel e controllai allo sportello bancomat se mi fossero stati riaccreditati i soldi. Non c’erano. Ormai era tardi e in Italia era di nuovo notte fonda e così decisi di richiamare l’agente l’indomani. Non dormii neanche quella notte e anche quella mattina scesi prestissimo a prendere una tisana e a fare colazione. L’omone di colore era di nuovo dietro il banco della reception. Richiamai l’agente di viaggio, la quale mi rassicurò che doveva esserci stato un altro disguido e che mi avrebbe accreditato i soldi subito. La sera tornai in hotel dall’escursione programmata, ma anche quella volta i soldi non c’erano. Accadde praticamente così ognuno dei 4 giorni. Ogni mattina partivo per l’escursione e ogni sera tornavo sconsolata e sempre più preoccupata. La sera del quarto giorno, la receptionist di turno mi disse che, se non avessi saldato le altre sei notti, sarei dovuta andar via. Spiegai che c’era stato un contrattempo, che l’agente stava per inviarmi i soldi, che il mio volo sarebbe partito solo molti giorni dopo. Lei mi consigliò di fare le valigie e portarle in reception la mattina dopo: se al ritorno dall’escursione i soldi mi fossero stati accreditati, sarei potuta restare, altrimenti dovevo andarmene. Non dormii neanche quella notte e appena sullo skyline cominciò ad albeggiare, portai i bagagli in reception. C’era il solito omone, che ancora una volta ignorai. Andai a fare colazione e poi mi preparai per andare all’escursione, quel giorno alla Statua della Libertà. Passando dalla reception, l’omone mi rivolse inaspettatamente la parola: «Posso farti una domanda? – disse – Perchè hai prenotato per 10 notti e pagato solo per 4?». Risposi sbrigativamente che avevo avuto un problema con l’agenzia, ma che a lui non doveva interessare. «E invece mi interessa, disse lui, e forse posso aiutarti. Mi chiamo Issa Coulibaly e sono il direttore. Spiegami cos’è successo». Ero sbalordita: perchè un direttore avrebbe dovuto accollarsi quotidianamente il turno di notte? Gli risposi di getto: «Non ho i soldi sulla carta di credito, perchè ho già pagato il soggiorno presso il vostro hotel alla mia agenzia di viaggio». Lui sembrò sollevato. Sorrise e mi disse una frase meravigliosa: «I believe you». Lui mi credeva. Poi aggiunse: «Non preoccuparti. Parlerò io con il tuo agente di viaggio e gli darò un iban a cui inviare tutta la somma. Appena pagherà ti restituirò i soldi che hai dovuto pagare due volte. Tu va’ tranquilla alla tua escursione e quando sarai tornata, tutto sarà risolto». Ne fui sollevata. Per la prima volta mi sentivo felice per le strade di New York, il cuore era leggero e potei godere appieno della visita a quella meravigliosa Statua, al Museo, all’isola Ellis, che ospitò i nostri avi italiani, soprattutto siciliani, quando giunsero per la prima volta in America: il museo di Ellis Island documentava l’assistenza che gli emigrati avevano ricevuto al loro arrivo, ma anche il loro importante contributo alla costruzione di New York, dove avevano trovato nuove possibilità di vita e di carriera. Tornai in serata, e trovai Issa ad aspettarmi. Aveva un volto serio, ma gentile. «Purtroppo non ho buone notizie: la tua agente non ti risolverà il problema, è una persona disonesta». Replicai che era un’amica, una persona sensibile, che mai avrebbe potuto ingannare un’anima viva. Lui non insistette, ma mi disse che potevo restare in hotel anche se non avevo pagato. Avrei saldato il debito al termine della settimana successiva, prima di andare via. Mi aveva già fatto portare le valigie in camera. Entrai in camera sollevata di non dover andare in cerca di un rifugio di fortuna, magari al consolato, o peggio, per strada, come i tanti barboni che avevo visto dormire nei cartoni al centro di New York, ma non dormii neanche quella notte: i soldi stavano finendo e non ne avevo quasi più neanche per mangiare. Possibile che la mia agente ancora tardasse a risolvere il mio problema? Eppure sapeva che ero sola a New York, sapeva quanto ne avessi passate ultimamente, ci eravamo reciprocamente confidate, da buone amiche. Non mi avrebbe abbandonato lì da sola, l’indomani ero sicura che avrebbe risolto tutto. All’alba del giorno dopo, ero di nuovo nella hall a consumare la mia tisana e la mia colazione inclusa nel prezzo. Issa stava per andare via. Mi salutò con un cenno del capo, mi fece segno di avvicinarmi. Con discrezione e quasi timidezza mi chiese: « Ti servono dei dollari per comprarti da mangiare? ». Gli occhi mi si colmarono di lacrime di gratitudine, ma scossi la testa e lo ringraziai. Era il mio angelo nero inviato dal cielo, splendente tra le tenebre di quell’assurda situazione. Chiamai per l’ennesima volta la mia agente, Natalia Carianni. Lei mi disse che quella mattina avrebbe parlato con il direttore della mia banca, «un mio carissimo amico». E finalmente compresi che mi stava mentendo e che Issa aveva ragione nel dirmi che non mi avrebbe aiutato: perchè il direttore della mia banca era una donna e non poteva essere “il suo carissimo amico”. Cercai allora altre soluzioni, sempre più angosciata: mancava poco alla mia partenza. Chiesi aiuto a mio fratello, ma me lo negò, dicendo che non aveva quei soldi, anche se promisi che glieli avrei restituiti appena tornata in Italia. Ai miei figli non dissi nulla, per non coinvolgerli nel mio problema. Non sapevo cosa fare. A colazione mettevo da parte dei sandwich e me li facevo bastare per l’intera giornata, non avevo quasi più denaro. Ero tristissima e neanche la bellezza della città poteva ormai consolarmi. Giunse il 29 ottobre, due giorni prima della mia partenza. Quella sera Issa arrivò in hotel un po’ prima e volle parlarmi. «Hai pensato a qualche soluzione per dopodomani?», mi chiese. «Onestamente non ne ho, gli risposi. Potrei insistere con mio fratello, ma preferirei di no, perchè ha già detto che non può». Mi guardò pensieroso, col suo sguardo gentile. «Però tra tre giorni mi riaccreditano il plafond, aggiunsi, e quindi potrei pagare la cifra rimanente senza problemi». «Cioè, mi chiese Issa, il 1 novembre la tua carta di credito viene ricaricata del suo plafond?». Annuii sorridendo. «Pagherò giorno 1 e poi mi chiarirò con la mia agente una volta tornata». Issa fece un largo sorriso. «E’ un’ottima notizia». Poi aggiunse: «Però resta il fatto che tu il 31 dovresti saldare il conto prima di andare via. Come si fa?». Scossi la testa sconsolata. Non avevo risposte, non sapevo cos’altro fare. Ma Issa si illuminò di nuovo e mi propose: «Faremo così: pagherò io il tuo conto. Poi tu quando tornerai in Italia mi restituirai i soldi». Ero sbalordita, cercai di protestare, ma lui mi zittì dicendo semplicemente: «Mi fido di te». Insistetti perchè trascrivesse i dati della mia carta di credito e facesse lui stesso il prelievo il primo giorno di novembre. Accettò quasi a malincuore, dato che insistevo tanto. La sera prima della partenza lo aspettai nella hall. Quando arrivò, mi salutò appena ed entrò in direzione. La receptionist gli riferì che io lo stavo aspettando da un’ora. Uscì con aria interrogativa. «Issa, ci hai ripensato?», gli chiesi, più in ansia che dicesse di no anziché sì. Mi sembrava una cosa enorme ed io mi sentivo come se non meritassi tutta la fiducia che stava riponendo in me, anche se ero del tutto innocente. «Non ci ho ripensato», disse tranquillamente. Era il momento. Tirai fuori dalla borsa un albero di natale di ceramica dove avevo fatto scrivere in ogni rametto la frase “Thank you”. L’avevo comprato con gli ultimi soldi. Lui sembrò imbarazzato. Disse che stava facendo solo il suo lavoro. Poi scomparve dietro la porta della direzione. Non ci siamo neanche stretti la mano. L’indomani non c’era.
A Natale gli scrissi una mail per ringraziarlo ancora e dirgli che avevo dovuto denunciare la mia agente, che aveva truffato, oltre a me, un centinaio di persone. Mi rispose che gli dispiaceva. Gli scrissi anche che non avrei mai dimenticato il suo gesto. Lui rispose semplicemente e che a volte il Signore ci chiede di aiutarlo a fare del bene ai suoi figli. Bisogna solo essere disponibili a dargli una mano. Gli scrissi anche l’anno successivo a Natale e lui mi rispose con una mail cordiale. Si ricordava ancora di me. Questo Natale gli mandai un’altra mail, ma non mi ha risposto.
Proprio durante le feste di Natale ho visto un film, il cui protagonista si chiamava Issa. È stato questo il modo in cui ho scoperto che “Issa” in musulmano significa “Gesù”.