E’ successo di nuovo.
Ho nuovamente assistito a una scena di violenza in strada: un uomo strattonava una ragazza in malo modo. Li ho visti dall’auto. Mi sono fermata. Io e la mia amica ci siamo precipitate. Ho chiesto anche il supporto di un passante. Ero certa che la ragazza, vedendoci arrivare in suo soccorso, si sarebbe salvata e sarebbe venuta via con noi. Forse avrebbe sporto denuncia, forse avrebbe accettato di essere ospitata in un luogo sicuro.
E invece non è venuta.
Gliel’ho chiesto ripetutamente. Lei aveva gli occhi terrorizzati e si teneva il polso dolorante, ma continuava a ripetere: “Non è così cattivo, io resto con lui”.
Io evitavo di guardarlo, non mi interessava emettere un giudizio contro di lui, nè spiegargli che certe cose non si fanno. So bene che non sarebbe servito a nulla.
Mi sono concentrata su di lei. Le ho detto: “Ti prego, vieni, salvati”. Lei con gli occhi mi ha risposto che aveva paura. Aveva più paura di quello che lui le avrebbe fatto se fosse andata via, rispetto a quello che le stava succedendo in quel momento, in una strada pubblica, in un’ora di punta. Lui la strattonava perchè lei voleva andarsene.
“Perchè? Non può andarsene, se vuole?”, gli ha chiesto la mia amica.
“Certo!, ha risposto lui, ma io la trattengo perchè la vorrei ammazzare di baci!”.
Risposta agghiacciante, con un miliardo di sottintese minacce.
Sembravamo attori di una squallida farsa, con me inadeguata nel personaggio del deus ex machina che risolve i problemi calando dall’alto, come nelle commedie greche.
Ce ne siamo andate sconfitte dalla caparbietà di quella dolce ragazza, che si è tenuta stretta il suo inferno, forse per timore di uno più grande.
Non faccio che pensarla, vorrei aver saputo dire parole più convincenti e portarla via con me, vorrei essere stata una poliziotta per costringere lui con la forza a desistere, vorrei averle chiesto il telefono, vorrei essere stata migliore e più incisiva di come sono stata.
La realtà è che continuo a non accettare la scelta di tante persone di continuare a subire relazioni tossiche.
Da quando ho scritto il libro “Guariti per amare”, ho incontrato tanti uomini e donne che si sono rivolti a me per confidarmi le loro pene, ma solo uno o due hanno seguito il mio consiglio di interrompere la relazione e salvarsi.
Gli altri non l’hanno fatto, anche se era evidente che avrebbero dovuto.
Una giovane donna ha ammesso di non amare più suo marito (è importante ammetterlo!), che ormai la picchia anche in pubblico, mi ha detto che sua figlia adolescente le chiede ogni giorno di lasciarlo, mi ha detto che ha un suo lavoro e che potrebbe mantenersi autonomamente.
Ma quando le ho suggerito di andar via da quella casa lo stesso giorno, anche per evitare le drammatiche conseguenze delle minacce subite dal marito, lei ha risposto che ero precipitosa, che lei gli avrebbe parlato, che il matrimonio si poteva ancora salvare.
Ho incontrato a una cena, davanti al tavolo del buffet, un ragazzo bellissimo, giovanissimo, che ha voluto raccontarmi dei continui soprusi e umiliazioni che subisce ogni giorno dalla sua partner. Mentre parlavamo, lei è arrivata all’improvviso e gli ha gridato spazientita. “Ti ho mandato a prendermi gli antipasti e tu invece ti metti a perdere tempo con le vecchie?”. Lui ha cercato di scusarsi, dicendomi: “In effetti ha ragione. Avrei dovuto portarle il piatto”.
“No, ho risposto io, lei non ha alcun diritto di trattarti così, mentre tu hai il diritto di fare quello che senti senza la paura di essere continuamente aggredito e sminuito”. Lui ha annuito e poco dopo li ho visti uscire. Erano abbracciati.
Con il cuore spezzato di chi conosce bene quell’inferno, io chiedo a ciascuno di loro e a quelli che si trovano in situazione analoghe, di tirarsene fuori, perchè meritano una vita serena e felice.
Con il cuore spezzato continuo a tendere loro la mano, in attesa che qualcuno trovi la forza di stringerla per risalire l’abisso e rivedere la luce del sole.