Sono giorni che si sprecano fiumi di parole sull’omicidio della giovane Giulia Cecchettin e oggi, giornata per eccellenza contro la violenza di genere, pullulano le iniziative: marce, concerti, convegni, conferenze universitarie dedicate, presentazioni di testi editi sull’argomento (compreso il mio Guariti per amare) e perfino vendita di gadget al supermercato, come borse di stoffa e carte da gioco, che una commessa zelante mi ha proposto di comprare “contro il femminicidio”.
Da molti anni non guardo più la tv: da quando cioè ho deciso di non farmi manipolare da notizie false e spesso tendenziose. Eppure l’eco delle discussioni di questi giorni mi è arrivata lo stesso da amici, conoscenti, social.
Ciò che ho ascoltato mi ha veramente rattristato e fatto incazzare.
In tutte le chiacchiere di cui sono venuta a conoscenza, il femminicidio è stato intellettualizzato, concettualizzato, astratto dalla realtà, divenendo così irrisolvibile.
C’è chi ha proposto come genialata l’insegnamento nelle scuole di due ore di “educazione emotiva”.
Come dire che gli insegnanti propinano le loro materie senza alcuna empatia e passione, come robot, e quindi c’è bisogno di insegnare ai ragazzi a esprimere le loro emozioni. Conosco molti insegnanti che potrebbero smentire questo insulso concetto. Io stessa sono diventata chi sono grazie alla forza emotiva travolgente dell’insegnante di latino e greco, che ci faceva lezione con una passione e gioia tali, da contagiarmi e farmi venir voglia di provare anch’io le sue stesse emozioni studiando le sue materie all’università.
Quindi, al limite, si può migliorare l’interazione empatica tra alunni e insegnanti, nei casi in cui manca. Di più non si può fare.
IL RESTO SI DEVE FARE A CASA, IN FAMIGLIA.
Francamente non capisco lo stupore di tanti intellettuali per il fatto che Filippo Turetta, l’omicida di Giulia, sia un giovanissimo studente. Come se gli studenti universitari vivessero in una sorta di bolla di perbenismo e gratificazione, al riparo da turbamenti e violenze. Ma questi esperti vivono sulla terra o no?
Ci si stupisce dell’età precoce e non del fatto che un essere umano si arroghi il diritto di compiere un delitto?
C’è un’età plausibile per giustificare l’assassinio del partner?
E come mai non ci si stupisce più che persone ancora più giovani, come i ragazzini delle elementari e delle medie, bullizzino un coetaneo, fino a rendergli la vita impossibile?
E come mai tali pontificatori della soluzione pret-a-porter non ricordano quanti adolescenti nello scorso anno si sono uccisi perchè i coetanei li hanno indotti a farlo?
Come mai risulta difficile fare una banale connessione tra questi eventi?
Eppure a me pare lapalissiano che il prepotente di 8 anni, sarà il bullo di 13, l’istigatore al suicidio di 16 e l’assassino di 20, se non viene AIUTATO e COSTRETTO a fare i conti con i mostri che ha dentro, per tirarli fuori e non farsene dominare fino alle estreme conseguenze.
Ma che cosa credono, tutti questi scienziati dell’opinione facile, che non esistano conseguenze per un bambino che vive con genitori che si odiano, che si fanno la guerra, oppure che si ignorano; che cresce in un clima di violenza palese o sottintesa; che gioca sempre da solo, perchè i genitori sono impegnati o troppo stanchi; che viene ridicolizzato dai parenti se non è all’altezza delle loro aspettative o perfino se le oltrepassa; che ogni giorno è spedito come pacco postale a casa di nonni e parenti; che è ignorato e non accolto per quello che è; a cui si regalano tutti i giochi possibili, ma non viene mai ascoltato e preso sul serio; che viene sgridato e umiliato in pubblico per un nonnulla, come ormai vedo fare quotidianamente per strada, al mare e dovunque?
Le conseguenze ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. La società è ormai divisa in vittime e carnefici, vale a dire tra persone violente contro se stesse o contro gli altri. Tranne rare, luminose eccezioni.
Per questo il femminicidio ci riguarda da vicino, perchè è la risultante dai comportamenti di ciascuno di noi nei confronti dei nostri figli, dei nostri alunni, dei nostri vicini. E ovviamente di noi stessi.
Dovremmo interrogarci oggi sull’impegno che ognuno di noi mette nel rapportarsi agli altri con gentilezza, nel tollerare le opinioni divergenti dalle sue, nel consentire a ogni persona che incontriamo di vivere la vita a modo suo e non a modo nostro.
Dobbiamo fermarci a consolare la nostra fragilità, il nostro smarrimento, il nostro senso di solitudine, il nostro dolore, la nostra miseria interiore, perchè ciò ci renderà sensibili nei confronti del prossimo.
Dobbiamo chiederci seriamente, oggi e ogni giorno della nostra vita, quanta umanità ci è rimasta nel sangue, perchè sarà solo quella a salvarci.
Tutte le altre chiacchiere, perfino le più eloquenti e forbite, non servono a nulla, eccetto che ad appagare l’ego narcisista di chi le pronuncia.
Non serviranno purtroppo a salvare la prossima vittima.