C’è un uomo fermo nel punto più alto dell’isola.
Scruta l’orizzonte, in attesa di una nave che lo venga a prendere per riportarlo a casa.
Il libro comincia dal giorno in cui la vede finalmente arrivare.
Khalil Gibran, autore del famosissimo Il Profeta, non fa sapere al lettore se in precedenza quell’uomo saggio avesse incontrato gli abitanti dell’isola, se li frequentasse con regolarità o solo raramente.
Non ci dice se fossero suoi amici o se avesse vissuto tutto il tempo in solitudine.
Quello che appare evidente è che quelle persone conoscono il valore dello straniero, gli riconoscono un carisma particolare, e quando lo vedono pronto a salpare con la sua nave, gli si affollano intorno, per chiedergli di parlare con loro, un’ultima volta (o forse la prima?) degli argomenti a cui tengono di più, che corrispondono inequivocabilmente ai temi più importanti e comuni a tutti gli esseri umani: amicizia amore, dolore, comunicazione, vita e morte, colpa e castigo.

E parlò una donna e disse: Parlaci del Dolore.
Ed egli disse:
Dolore è il rompersi del guscio che racchiude la vostra intelligenza.
Così come il nocciolo del frutto deve rompersi perché il suo cuore possa
esporsi nel sole, così dovete voi conoscere il dolore.
E se voi sapeste tenere il cuore in stato di meraviglia di fronte ai quotidiani
miracoli della vita, il dolore vi apparirebbe non meno mirabile della gioia;
E voi accogliereste le stagioni del vostro cuore, così come sempre avete
accolto le stagioni che si susseguono sui vostri campi.
E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore.
Molto del vostro dolore è scelto da voi stessi.
È l’amara pozione con la quale il medico che è dentro di voi guarisce il
vostro io malato.
Confidate perciò nel medico e bevete il suo rimedio in silenzio e tranquillità;
Poiché la sua mano, benché grossa e rude, è guidata dalla tenera mano di Chi
non è visibile,
E la coppa che vi porge, benché vi bruci le labbra, è stata ricavata dalla creta
che il Vasaio ha inumidito di lacrime sacre.